Calendario dell’Avvento 18 [Originale, “L’altra anima della città”]

Calendario dell’Avvento di storie – 18

Paola Vadacchino suggeriva il prompt: “…è un abete, quello?” “CORRETE!”

E… non potevo che affidarla a *questi* personaggi. Magari li avete già incontrati, nelle pagine del libro “L’altra anima della città” o nella novella “Il diavolo accanto”. O in qualche racconto qui sul mio blog. O nelle lande della perdizione che si aprono ogni vigilia di Natale.

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Passa un Natale tranquillo

La città era impacchettata e scintillante come un regalo natalizio. Turisti, agonisti dello shopping, universitari disperati e altra umanità varia affollava le vie illuminate del centro di Firenze.

Sarebbe stato il classico caos addomesticato e inondato di luci di ogni anno, se all’improvviso un abete decorato che torreggiava sui passanti, dietro il Duomo, all’improvviso non avesse cominciato a muoversi.

Non era il vento e non era un sisma. Semplicemente i rami, come fossero stati braccia sinuose stanche dell’immobilità, avevano iniziato a stirarsi.

Il primo ad accorgersene fu un bimbetto biondo di un paio d’anni, che osservava il movimento con la curiosità dipinta sulla bocca aperta. Emise un gridolino soddisfatto: aveva vist0o una cosa nuova, strana, bella. E sua mamma, quando lo sentì, ne seguì lo sguardo per capire la fonte di quella gioia infantile.

Una fronda carica di palline dorate le ondeggiò davanti alla faccia.

A quel punto, se ne erano accorti in tanti. Il brusio stupito scivolò presto nel concerto di urla tipico del panico collettivo.

«Ma che succede?»

«È uno scherzo?»

«È un abete, quello?»

«CORRETE!»

Ed era saggio, correre, perché la creatura imponente cominciò a camminre, allungando i suoi rami feroci verso i passanti, e coloro che afferrava, li sollevava in aria con spaventosa facilità, e poi li scagliava lontano.

Il centro illuminato precipitò nel delirio.

«Permesso! Fatemi passare!» urlava disperatamente Samuele, spintonando senza pietà i passanti in fuga. Se solo la gente si fosse tolta di mezzo, avrebbe potuto cercare di fermarlo, evitando che qualcun altro si facesse male.

«Ma cos’è?» urlò Ginevra, alle sue spalle.

«Che cazzo ne so!»

«Ne hai mai visto uno?» chiese Elia, ansimando.

«Ho visto tante cose, ma no so…»

Finalmente furono tutti e tre davanti al mostro illuminato. Ma prima che potessero sfoderare il loro arsenale di incantesimi, qualcun altro fece un’entrata in scena degna di un premio Oscar.

Una figura snella saltò giù da una finestra al primo piano, in uno svolazzare di stoffe – gonna di veli rossi, cappotto viola, nastri intrecciati fra i lunghi capelli castani. Atterrò con incredibile agilità, nonostante i tacchi alti, e allargò le braccia, in un gesto elegante.

«Che ci fa, qui, Damiano?» domandò Ginevra, affacciadosi sulla spalla di Samuele. «Non era da tutt’altra parte?»

«A saperlo, dove va…»

«…non sai dove va di solito tuo marito?»

«Vabbè, nemmeno io so mai dove va Leonora» confessò Elia. «Ma… cosa sta facendo?»

Samuele imprecò a mezza voce.

Damiano si tolse una collana di perle e la lanciò verso l’abete. Il gioiello tracciò una scia di stelline d’argento a mezz’aria, poi andò a chiudersi attorno a un fascio di fronde. Lì si cristallizzò, come un ornamento di ghiaccio. Subito dopo fu la volta di orecchini e bracciali. Tutti persero la loro forma e imprigionarono l’albero in cerchi argentei e lucenti. Pian piano, le fronde smisero di agitarsi, e l’abete tornò a piantarsi per terra, una ventina di metri più avanti rispetto alla sua posizione originaria.

Solo davanti all’albero, Damiano fece un ultimo lancio: un fermaglio a forma di stella. Volò sulle teste della gente, una cometa magica carica di forza sorprendente, che respinse l’abete, rimandandolo al suo posto. Poi avvolse l’albero in una pioggia glitter, prima di posarsi sulla sua cima.

Dalla folla si levò un applauso, a cui faceva da contrasto il caos di grida rabbiose di chi era stato travolto dall’abete poco prima.

«Ma che scherzi sono?»

«Ma cos’è, una specie di spettacolo?»

«Bellino, eh: qui c’è da chiamare il 118!»

Damiano, come suo solito, finse che tutto il resto non esistesse e si allontanò dalla folla, individuando subito Samuele, Elia e Ginevra. Offrì il suo miglior sorriso, poi prese a braccetto Samuele e si lanciò dentro a un altro ramo della folla, allontanandosi in fretta dall’albero.

«Che cavolo era?» chiese Ginevra, correndogli dietro.

«Eh, qualche volta ci sono delle creature provenienti da altre dimensioni che si affacciano alla nostra…»

«Sì, ma qui non ci sono passaggi: come ha fatto a venire fuori?» incalzò Elia.

«Chi lo sa. I misteri delle dimensioni.»

«E dai: queste spiegazioni le puoi dare agli altri, non a noi!» protestò Elia. «Sono più di dieci anni che lavoro con le dimensioni, e non mi è mai capitato che…»

«Non si finisce mai di imparare» tagliò corto Damiano.

«Lo hai portato tu di qua?» indovinò Samuele.

«Sappiamo bene che il nostro mondo e la nostra città sono al centro di nodo vitale di mondi e dimensioni.»

«Lo hai portato tu.»

«Questa città ha un animo particolarmente ribelle e goliardico.»

«Ma sei matto?» strillò Samuele. «Ma cosa pensavi di fare?»

Finalmente l’altro cedette: gli sfuggì un sorriso molto eloquente. «Uh… una cosa che non è stata pensata approfonditamente, forse.»

«Forse? Per poco non è morta della gente!» Samuele si mise le mani fra i ricci scomposti. «Tu sei…»

«Mi permetto di far notare che non è successo niente di irreparabile.»

«Io vorrei sapere veramente quali fossero le tue intenzioni» disse Ginevra, ugualmente sconcertata.

«Ah, ma certo: una volta te lo racconterò. Adesso, se tutti e tre volete scusarmi, impegni mi costringono a lasciarvi, e…»

«No, un bel cavolo» brontolò Samuele. Poi strappò via di forza un braccialetto dal polso sottile di Damiano, e glielo tirò addosso. Immediatamente l’uomo fu circondato da un cerchio di stelline d’argento, che gli si posarono addosso e poi diventarono una sorta di fascia attorno alle sue braccia.

Damiano scoppiò a ridere. «Hai imparato in fretta, a usarli. Ma non mi dovrei stupire.»

«Ora andiamo a casa, e cerchiamo di capire se ci sono altri pericoli.»

«Non ce ne sono, puoi fidarti.»

«Anzi, sei tu, il pericolo pubblico! Ma tu vuoi proteggere la città o devastarla?»

«Voglio proteggerla, ma divertendomi!»

Samuele mugugnò un saluto agli altri due, trascinò suo marito dietro di sé e si buttò dentro un vicolo, mormorandogli la richiesta di portarli dritti a casa. La stradella, obbediente, piegò la sua conformazione, trasferendoli a un’altra, e un’altra ancora, e in un minuto raggiunsero l’altrettanto gremita e luminosa piazza Santo Spirito.

«Non hai portato qualche creatura strana anche qui?» borbottò Samuele, impugnando il cucchiaio gemmato che in realtà era la chiave di casa loro.

«Chi lo sa.»

«Per favore, non…»

«Chi lo sa, cosa ti riserverà questa notte. Chissà che un altro essere, spuntato da distanze inimmaginabili, non arrivi a possedere un altro ornamento pagato, tramutato nei secoli in…»

L’incantesimo che teneva chiuso il loro portone si aprì e Samuele spinse in casa il suo ridente e compiaciuto marito. Si fermò per un momento a guardare il mondo fuori casa, inquieto all’idea che ci fossero altri mostri.

Ma c’erano sempre, altri mostri, e la risata di Damiano alle sue spalle era piena di calore.

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